“Nuovi corpi nuove forme, Libri d’Artisti Libri Oggetto”, a cura di Calogero Barba,
Galleria Civica d’Arte di Palazzo Moncada, Caltanissetta, 7-21 maggio 2022.
Numeroso il gruppo di artisti coinvolti, maestri attivi da diversi anni in campo nazionale ed internazionale tra cui Fernando Andolcetti, Salvatore Anelli, Caterina Arcuri, Luigi Auriemma, Tiziana Baracchi, Antonella Ludovica Barba, Vittore Baroni, Umberto Basso, Anna Boschi Cermasi, Francesco Antonio Caporale, Lamberto Caravita, Cosimo Cimino, Caterina Ciuffetelli, Mario Commone, Maria Credidio, Teo De Palma, Pina Della Rossa, Mariangela Di Biase, Marcello Diotallevi, Donmay Donamayoora, Giovanna Donnarumma, Juan Esperanza, Luc Fierens, Antonella Gandini, Ettore Maria Garozzo, Delio Gennai, Lillo Giuliana, Mario Glauso, Gennaro Ippolito, Michele Lambo, Alfonso Lentini, Giovanni Leto, Margherita Levo Rosenberg, Ruggero Maggi, Mauro Molinari, Emilio Morandi, Franco Panella, Mario Parentela, Enzo Patti, Giancarlo Pavanello, Salvatore Pepe, Angelo Pitrone, Franco Politano, Giuseppina Riggi, Beppe Sabatino, Salvatore Salamone, Enzo Salanitro, Attilio Scimone, Danilo Sergiampietri, Alfonso Siracusa, Franco Spena, Delfo Tinnirello, Ilia Tufano, Agostino Tulumello, Giovanna Vinciguerra, Nicola Zappalà e molti altri.
Non mancano artisti di chiara fama come Andy Warhol, Damien Hirst, John Cage, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Vito Acconci, Richard Long, Hamish Fulton, Vostell, Yoko Ono, Giuseppe Penone, Hermann Nitsch, Giulio Paolini, Sol LeWitt e molti altri.
Mostra collettiva di pittura e scultura a cura di Anna Maria Ruta e Giacomo Fanale.
Luogo: Palazzo Sant’Elia, Palermo 30 aprile al 22 maggio 2022.
Opere di: Antonella Ludovica Barba, Fiammetta Bonura, Giuliano Cardella, Florinda Cerrito, Gaetano Costa, Francesca Di Chiara,
Juan Esperanza, Alessandro Finocchiaro, Attilio Giordano, Beppe La Bruna, Giovanni Leto, Elia Li Gioi, Paola Parlato,
Benedetto Poma, Cetty Previtera, Antonio Recca, Francesco Rinzivillo, Paolo Sallier De La Tour, Enzo Tomasello.
Museo Guttuso – Villa Cattolica, Bagheria (Palermo)
27 Luglio 5 Settembre 2021
E’ in pieno svolgimento, la Mostra personale dell’artista siciliano Giovanni Leto / Corpus temporis, Inaugurata il 27 luglio 2021 e allestita negli spazi espositivi del Museo Guttuso / Villa Cattolica a Bagheria (Palermo).
L’esposizione, curata per la parte tecnica da Rosalba Colla in collaborazione con l’Archivio Giovanni Leto, si avvale di un testo di Franco Lo Piparo e di una Biografia dell’artista tracciata da Giovanna Cavarretta. Comprende una serie di Orizzonti di grande formato, disposti a parete e di Installazioni che si sviluppano sia nello spazi calpestabile come ad esempio Onda nera, Obelisco e Scongelamenti, sia sospesi nel vuoto, pendenti dal soffitto per mezzo di fili di nylon come la grande installazione Corpus temporis, composta da 17 elementi cartacei. In tutto 23 opere della produzione più o meno recente che vedono l’artista impegnato a dare corpo al concetto di tempo nell’arte visiva.
Il testo di presentazione della mostra scritto da Franco Lo Piparo (Docente di Filosofia del linguaggio all’Università di Palermo), inizia proprio con la domanda: “Il tempo ha un corpo? No. E però un artista non può non rappresentarlo che con e nella materialità dei corpi. Il filosofo, il teologo, il letterato usano le parole, l’artista deve fare vivere le sue idee nei colori, nelle figure disegnate su una qualche parete o ricavate da blocchi di marmo o di creta. Leto scrive le sue visioni filosofiche nella e con la modellazione di fogli di giornali…”
L’esposizione sarà fruibile sino al 5 settembre 2021.
Orari:
dal Martedì alla Domenica dalle ore 9,00 alle ore 17,00
La sperimentazione di nuovi linguaggi, la ricerca semantica di uno stile in costante progresso, segnano le odierne tappe della produzione artistica di Giovanni Leto. Il dialogo fra spazio e materia associato alla conquista di un’ulteriore tridimensionalità, trova rappresentazione nell’installazione “Corpus Temporis”, quale punta di diamante della sua ultima mostra personale dal titolo “Ritratto d’Ignoto”. Questa, inaugurata il 5 dicembre 2019 presso la Cappella dell’Incoronata a Palermo, ha chiuso i battenti ben oltre la prevista data del 5 febbraio, grazie alla grande affluenza di visitatori. Un’opera imponente, questa del “Corpus Temporis”, che già lasciava presagire le successive rivoluzioni nel percorso estetico-espressivo dell’artista monrealese.
Essa era infatti costituita da una serie di involucri cartacei, che pendenti dal soffitto e sorretti a mezz’aria da fili di nylon, si libravano in estrema libertà come sospesi “nel tempo e nello spazio” lasciando intuire come il corpo in balia del tempo ne subisca una profonda trasmutazione. Infatti le informazioni contenute nei sospesi fogli di giornale, fatte di parole, eventi e concetti, dapprima come contenitori vivi di esistenze o accadimenti, assumevano ora la valenza dell’Oltre, presenze scarne, spoglie di significati, corpi-scheletri, in attesa di divenire polvere in uno spazio che assorbendoli li disperde. E così l’opera sembra svanire nel Vuoto, in un’Altra dimensione dalla quale il Tutto, forse si origina o si ricrea. Sublime e non imbevuta di ascendenze metafisiche, essa conteneva al suo interno i fondamenti di un’imminente evoluzione già ben evidenziata nel nuovo ciclo di lavori.
Il dualismo tra creazione e dissoluzione dell’elemento cartaceo acquista, in queste ultime opere, un ruolo singolare ma non marginale. Il processo manuale che nel tempo è divenuto rito, sembra ora coniugarsi al gesto pittorico, esplicitato nelle vaste campiture di colore che invadono con più forza la tela. Il dato materico ritraendosi come presenza discreta, quale retaggio di un “segno” antico, lascia pertanto che la superficie sia copiosamente pervasa dal Vuoto. Dacché l’opera così, profondamente modificata nella struttura compositiva, realizza un innovativo principio di essenzialità rivelandosi sobria, delicata e alleggerita nello spazio e in cui l’aspetto minimalista, accostato al dato cartaceo, evince il ritmo incessante del colore, dal bianco al rosso con ricche distese cromatiche che dominano largamente il quadro.
Come un alchimista, Leto opera una trasmutazione sostanziale per la qual cosa l’opera non è più data quale risultato della somma delle parti bensì dall’insieme, da quel Tutto fonte generatrice ad acta. L’innovazione così assume un particolare orientamento pregno di risvolti tecnici ed intellettuali molto significativi. Dal punto di vista specificatamente estetico l’Artista opera una destrutturazione del concetto di arte visiva già ben delineato in passato. Infatti, il passaggio da una composizione armonica, scaturita dal rapporto dialettico tra spazio, fisicità e rinnovata tridimensionalità, ad una struttura asimmetrica, caratterizzata dal ritmo pacato ed equilibrato delle vaste campiture, mette in rilievo la frattura con schemi artistici desueti. E la tendenza a superare il già compiuto e a pervenire ad Altre dimensioni è per Lui prerogativa imprescindibile. Questa, unita ad un’indagine attenta e meticolosa e supportata da una minuziosa capacità critica, permettono infatti a Giovanni Leto un’analisi sia sulla natura dell’opera che sul dialogo fra materia e colore messi in stretta relazione con una nozione del “Tempo”. Il che provando a travalicare la nozione storica e il proprio confine, consegna all’osservatore opere accattivanti e di notevole spessore.
Bibl.: Giovanna Cavarretta, Giovanni Leto. Oltre il vuoto, in culturelite.com – 28 luglio 2020.
Dal 1912, in seguito alla pubblicazione del Manifesto tecnico della scultura futurista di Boccioni, nel quale l’autore asseriva che si potesse realizzare una scultura con venti materiali differenti, la scultura e la pittura sono divenute onnivore. Pochi mesi dopo la diffusione del manifesto infatti, Braque inserì un papier collè in un suo dipinto, seguito da Picasso che vi inserì un collage, mentre Gris lo fece con un pezzo di specchio.
In scultura, comunque, nasceva l’assemblage, ma anche la scultura in ferro, in cemento ed in altri materiali, mentre Archipenko, sempre su un’indicazione di Boccioni, iniziò a dipingere le sue sculture. Questo tuttavia fu un ritorno al passato, perché le sculture nell’antica Grecia e antica Roma erano dipinte, se poi quelle in marmo non lo furono più, fu per una topica di Winckelmann. Quindi non ci si stupisca per la diversità dei materiali che usano gli artisti in quest’occasione proposti. Anzi, proprio per evidenziare la vigente dialettica, sia espressiva che tecnica, ho deciso di mettere insieme le sculture in vetro della giapponese Izumi Oki, quelle in legno dipinto di Renzo Eusebi – materiale che utilizza anche nei suoi quadri creando originali bassorilievi – e le opere rivestite di carta del siciliano Giovanni Leto; mentre per quanto attiene alla pittura, alle opere della torinese, (ma romana di adozione, ancorché passi molti mesi a Parigi col marito Giorgio Treves) Renata Rampazzi ho voluto accostare quelle di tecnica mista del frascatano Angelo Liberati, da molti anni residente a Cagliari.
L’informale è stato, a mio avviso, la più grande rivoluzione linguistica della pittura del secolo scorso, al punto che giustamente venne definito art autre dal critico Michel Tapié. Tra le tanti e diverse declinazioni di esso, la Rampazzi ne ha adottata una esecutivamente fluente in opere scandite monocraticamente, che modulano le tonalità con non infrequenti rimandi al carnale, e quindi allusivamente sensuali. Liberati, grande ammiratore di Vespignani, non s’è mai allontanato dalla pittura iconica, ma ne ha varcato i limiti con le aggiunte di scritture, di inserti (a mo’ di Poesia Visiva) di manifesti e collage di giornali quotidiani, per meglio restituire la molteplicità degli aspetti della realtà contemporanea, in cui esistenza individuale e cronaca collettiva convivono inscindibilmente.
Il giornale, anzi i giornali, da Leto vengono invece arrotolati a formare una sorta di salsicciotti, che accorpati creano opere straordinariamente particolari nell’arte odierna. Nel passato con questa tecnica e per molti anni, accorpando una sull’altra strisce di questi salsicciotti di carta (talvolta mista a stoffa, mimando le stratificazioni geologiche) ha prodotto allusive vedute che – presentando la sua antologica di Monreale – ebbi modo di definire “paesaggi dell’altrove” per il loro evidente orizzonte marcato, dalla stesura monocroma della parte superiore della tela. In seguito i salsicciotti si sono accorpati per farsi enormi libri, oggetti vari, fino a suggerire evocative fratture. E ciò ha preparato il terreno per le opere attuali, in cui i salsicciotti s’accorpano radialmente intorno ad un buco nero, oppure vengono sagomati per “vestire” una testa ed un busto, o per arrotolarsi su se stessi come coperte, o bauletti che, sospesi in aria, alludono al tempo che passa, concretamente trattenuto dai testi dei giornali.
Siamo agli antipodi del purismo geometrico di Eusebi il quale, dopo le personali rivisitazioni dell’informale intriso di indumenti alla Burri, e buchi alla Fontana (poi sfociate nel denso materismo monocromatico, a sua volta sfociato nel gestualismo di opere a più scomparti) è attualmente giunto a queste tavole sovrapposte per formare composizioni pulite e illuminate bene da stesure monocrome dei tre colori primari, in un sottile connubio di concretismo, suprematismo e neometafisica, che tuttavia Mondrian avrebbe scomunicato per via delle continue trasgressioni all’ortogonalità delle composizioni.
Anche Renzo Eusebi, nella recente esposizione tenuta in un museo di Rio de Janeiro, ha appeso al soffitto alcune di queste composizioni, accompagnate da sue sculture anche di grandi misure, ottenendo un tale successo che gli hanno proposto di fare una mostra di sole grandi sculture nel prossimo anno.
Dulcis in fundo, ad arricchire questo quintetto, sono senza alcun dubbio le sculture in vetro di Izumi Oki. Con una pazienza e precisione esecutiva, che solo gli scultori giapponesi hanno, come ho imparato nei lunghi periodi passati a lavorare a Pietrasanta dal 1977 in poi, la Oki assembla vetri per ottenere sculture avvitate su se stesse, edifica cattedrali e invade gli ambienti con installazioni serpentine anche di molti metri.
Ogni sua opera crea una nuova fruizione dell’atmosfera, della luce e dello spazio. Ogni opera si carica di una visione vibratile unica, alla cui base c’è costantemente una ratio geometrica assommativa di elementi iterati che creano un insieme compatto, pertanto opposta a quella di Eusebi, che distingue sempre gli elementi. La “cattedrale” qui proposta è un vero gioiello plastico che, nonostante le sue insite trasparenze, giunge a una tattile consistenza oggettiva che assorbe lo spazio, restituendone una immagine come fatta di luce. Comunque la sua scultura, non solo per tali proprietà, s’impone nel panorama odierno come unica e sotto ogni aspetto sorprendente.
Nasce a Monreale (Palermo) nel 1946. Studia Decorazione pittorica all’Istituto Statale d’Arte di Palermo e Pittura all’Accademia di Belle Arti della stessa città. Attualmente vive a Bagheria. Dopo gli anni di formazione, tra figurativo e arte informale, e dopo una serie di esperienze collagistiche risalenti agli anni ’70, l’artista dà avvio, sin dai primi anni ’80, ad una pittura volta ad acquistare sempre più corpo, spessore plastico, mediante l’uso, insieme al colore, di materiali extra pittorici e più in particolare di fogli di giornali attorcigliati manualmente e incollati dapprima sulla superficie della tela, a formare bassorilievi raffiguranti Orizzonti o spaccati di una “Geologia dell’altrove”. Poi, dagli anni ’90, sono destinati a costruzioni cartacee tridimensionali a tutto tondo che vedono la pittura sganciarsi dalla superficie e conquistare una piena e del tutto nuova fisicità e spazialità.
Studio – via M. T. Cicerone 18, 90011 Bagheria (Palermo) tel 091 903273
[…] In Italia, soprattutto dall’immediato dopoguerra, s’è ormai consolidata una tradizione pittorica au delà de la peinture, che per lo più affonda le radici nell’humus dissodato, oltreché dalle avanguardie artistiche, dalle muffe, dai sacchi, dalle plastiche, dai legni e dai ferri di Burri e in qualche caso dai dècollages di manifesti attuati da Rotella quasi in parallelo ai manifesti dèchirès del francese Hains. L’opera di Giovanni Leto s’inserisce a pieno diritto in questa tradizione a partire dal 1982. – Giorgio. Di Genova
(Giovanni Leto / Geologia dell’altrove, Catalogo edizione Mazzotta, 1988 Milano)
Giovanni Leto, Senza titolo, 2017. Carta e pigmenti su tela, cm. 120×120
“NOVECENTO Artisti di Sicilia da Pirandello a Guccione”
“ Un secolo di arte siciliana vuol dire, in larga misura, un secolo di arte italiana. La Sicilia del Novecento , sia in letteratura sia nelle arti figurative, ha dato una quantità di artisti e scrittori che hanno contribuito in modo determinante a delineare l’identità prevalente della cultura italiana. Tante vite, tante esperienze al centro del mondo in una isola fuori dal mondo” – Vittorio Sgarbi
OLTRE 180 OPERE IN MOSTRA
I capolavori dei piu’ grandi artisti siciliani dal novecento ad oggi
120 dipinti, 40 sculture e 20 fotografie
TITOLO DELLA MOSTRA: “Novecento – Artisti di Sicilia. Da Pirandello a Guccione” a cura di Vittorio Sgarbi
SOTTOTITOLO: La mostra che racconta un secolo di arte siciliana
PERIODO: Dal 4 febbraio 2020 al 30 ottobre 2020
NAZIONE: Italia
REGIONE: Sicilia
LOCALITA’: Noto
LOCATION: Convitto delle Arti Noto Museum
PRODOTTA DA: Mediatica srl
IN COLLABORAZIONE CON: SiciliaMusei
A CURA DI: Vittorio Sgarbi
CATALOGO: Giorgio Mondadori
Tra gli artisti in mostra: Renato Guttuso, Fausto Pirandello, Pietro Consagra, Carla Accardi, Antonio Sanfilippo, Giovanni Leto, Salvatore Provino, Paolo Scirpa, Paolo Schiavocampo, Pino Pinelli.
La mostra è una collettiva di 55 opere create da artisti vari in omaggio al calabrese Paolo Aita, poeta, scrittore e critico d’arte e musicale.
La mostra Ponte di Conversazione con Paolo Aita nasce con l’intento di approfondire l’opera di Paolo Aita: poeta, filosofo, letterato, giornalista, redattore di programmi musicali su Radio Vaticana e curatore di mostre. L’esposizione, è stata progettata come un unico percorso costituito da poesie e opere d’arte: alcune liriche cinesi del periodo T’ang tradotte in italiano da Paolo Aita – estratte dal suo libro “Dove l’acqua riposa” – saranno associate a 55 opere d’Arte Contemporanea.
L’esposizione si muove in uno spazio di ricerca interdisciplinare tra il limite e il confine: il confine disegna una linea immaginaria tra situazioni diverse, tende alla staticità pur restando temporaneo, mentre il limite è mutevole in quanto tensione continua verso l’oltre/altro. I due termini caratterizzano lo spirito di ricerca e condivisione di questi incontri, che vogliono unire i confini delle specificità culturali con la vitalità prodotta dalla condivisione nei diversi campi del sapere. Lo spazio di confine diventa così occasione di dialogo, un filo conduttore di ricerca e confronto con Uomo-Ponte che ha consegnato, attraverso il suo lavoro, un invito, una direzione culturale e spirituale.
Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese Roma
Orario
Dal 20 dicembre 2019 al 23 febbraio 2020 Da martedì a venerdì e festivi ore 10.00 – 16.00 (ingresso consentito fino alle 15.30) Sabato e domenica ore 10.00 – 19.00 (ingresso consentito fino alle 18.30). 24 e 31 dicembre ore 10.00-14.00 (ingresso consentito fino alle 13.30) Giorni di chiusura: lunedì, 25 dicembre, 1 gennaio
N.B. per eventuali aperture e/o chiusure straordinarie consultare la pagina dedicata agli Avvisi
Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo
Inaugurazione mostra
Giovanni Leto Ritratto d’ignoto a cura di Franco Lo Piparo
5 dicembre 2019 ore 17.30
Palermo, Cappella dell’Incoronata Via Incoronazione, 11
Palermo. Giovedì 5 dicembre, alle ore 17.30, presso la Cappella dell’Incoronata, si inaugura la mostra “Ritratto d’ignoto” di Giovanni Leto. La mostra, appositamente pensata dall’artista per i suggestivi spazi della Cappella dell’Incoronata, si articola nella navata e nella sala ipostila con lavori che modulano l’ambiente espositivo dialogando con un “luogo” carico di storia e di cultura. “Ritratto d’ignoto” dà voce ad una personale e originale interpretazione dell’artista sul suo essere nel mondo e rappresentarlo, come in un gioco di scatole cinesi, attraverso altre “rappresentazioni” di mondo: le pagine dei quotidiani. La carta dei giornali è, infatti, la materia principale della sue opere, arrotolata in strisce, stratificate e poste in relazione al fondo della tela e alle pennellate di colore che spesso ne contornano la spazialità. Come afferma Franco Lo Piparo, nel testo critico presente nel catalogo della mostra: “Le rappresentazioni artistiche di Leto sono costruite con la materialità di altri pezzi di mondo che sono essi stessi immagini del mondo”. La scelta stessa del titolo allude alla rappresentazione di ciò che si ignora o non si può vedere. Come afferma Lo Piparo: “ Tutta l’arte religiosa e sacra altro non è che la rappresentazione dell’invisibile. Si può dire di più, tutta l’arte figurativa è un mostrare ciò che non si vede. Anche l’arte cosiddetta realistica. Per il semplice fatto che in un’immagine c’è sempre un’idea. Un’immagine, qualunque essa sia, ha in sé un discorso o, ancora meglio, una molteplicità di discorsi possibili. Capire un’immagine equivale a spiegarne il senso con parole. Un’immagine conterrà tanti sensi quanti sono i discorsi possibili che la spiegano. Questo vale in special modo per le opere qui raccolte. L’oggetto rappresentato è altamente filosofico e (meta)fisico: la intelaiatura fondamentale dell’universo. Il tempo, la materia, la forma, l’energia, l’origine dell’universo. In poche parole, Dio nella versione della scienza contemporanea”. La materia prima di qualsiasi interpretazione possibile, al di là di ogni significato e significante, è dunque protagonista in questa mostra. Le opere, quadri e installazioni, si dispiegano nello spazio espositivo declinando quei concetti che stanno alla base del lavoro di Giovanni Leto – tempo, spazio, forma; materia, energia; memoria, oggetto, segno – ma sempre attraverso l’uso delle carte e delle stoffe arrotolate e fittamente addossate le une alle altre, secondo una pratica artistica, adottata a partire dagli anni ottanta nella serie “Orizzonti”, divenuta cifra stilistica dell’artista. Tale pratica si evolve negli anni successivi in concrezioni che lievitano e crescono, delineandosi sempre più come oggetti tattili di rinnovata spazialità, oppure iniziano a sfaldarsi, lasciando il posto alla materia pittorica.
In occasione della mostra “Ritratto d’ignoto” verrà presentata al pubblico, nello spazio vetrina di Palazzo Belmonte Riso, l’opera “Senza titolo7”, donata dall’artista per la collezione permanente del Museo, espressione di quell’evoluzione creativa dell’artista che criticamente mirava alla qualità della materia allo stato originario e all’idea di un’arte in grado di contraddire la tradizionale bidimensionalità del quadro per conferire all’opera qualità tridimensionali e rinnovate capacità di dialogo con il pubblico.
Giovanni Leto nasce a Monreale (Palermo) nel 1946. Frequenta a Palermo Decorazione Pittorica all’Istituto Statale d’Arte e Pittura all’Accademia di Belle Arti. La sua ricerca pittorica si è sempre fondata su un acuto interesse per i materiali, collocandosi dapprima in ambito informale, poi approfondendo la valenza tattile dei vari materiali impiegati. A partire dagli an-ni ottanta protagonisti nelle sue opere sono prevalentemente i fogli di giornale attorcigliati manualmente e stratificati sulla superficie della tela. Nel decennio successivo la sua ricerca si concentra sulla creazione di una differente semantica, volta a coniugare fisicità e spazio, cosicché l’opera lascia la parete e si manifesta nella sua totale tridimensionalità. A questi anni appartengono opere de “Il corpo a corpo con lo spazio della pittura reificata” esposte nella mostra personale a Bagheria, presso la Galleria Ezio Pagano. Seguono una serie di installazioni cartacee ed opere ambientali, tra le quali “Made in Italy” (2011) esposta alla 54° Biennale di Venezia, Padiglione Italia, iniziativa specia-le per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. La produzione artistica degli ultimi anni è com-posta da lavori in cui la carta attortigliata cede lo spazio ad ampie campiture di colore e ad installazioni più “oggettuali”, come “Corpus temporis”: una serie di involucri cartacei che pendono dal soffitto sorretti a mezz’aria da fili di nylon, sospese “nel tempo e nello spazio”. Il corpo in balia del tempo: le informazioni contenute nei fogli di giornale si consumano, sbiadiscono parole, eventi e concetti che as-sumono la valenza dell’Oltre; presenze scarne, spoglie di significati, corpi divenuti prima scheletri e poi polvere che lo spa-zio assorbe e disperde. Il curriculum dell’artista è costellato da un’ampia bibliografia e da un corposo elenco di mostre personali e collettive che hanno avuto luogo in Italia e all’estero: Parigi, Berlino, Sydnei, Stoccolma, Helsingborg, Bagdad e New York.
Info Mostra Giovanni Leto “Ritratto d’ignoto” 5.12.2019 – 5.2.2020 Testo di Franco Lo Piparo in catalogo Inaugurazione 5 dicembre 2019 ore 17.30
Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo Cappella dell’Incoronata, Palermo Via Incoronazione, 11 da lunedì a venerdì ore 9.30 – 13 chiuso sabato, domenica e festivi Ingresso gratuito
Per questo nono numero della rivista My Monkey abbiamo il piacere di avere come protagonista l’artista monrealese Giovanni Leto. In questo caso è quello che potremmo definire il ” leitmotiv” della carta stampata ad unire la sua ricerca artistica con questo splendido testo dello scrittore bellunese. I ritmi e le attese del protagonista del romanzo sono i tempi surreali del quotidiano lavoro redazionale del Buzzati giornalista nella sede del Corriere della Sera, ma sono anche i tempi artistici e i materiali protagonisti dell’opera di Giovanni Leto, che Ha saputo cosi brillantemente cogliere lo spirito di questa nostra “provocazione” My Monkey contatti
Andrès David Carrara www.mymonkeyedizioni.com info@mymonkeyedizioni.com
Giochiamo a proporre un classico della letteratura a degli amici artisti, curiosi e ammirati nel vedere i risultati di questa provocazione. Le edizioni My Monkey sono riviste stampate in 50 esemplari, in formato 29,7×29,7 numerati e firmati dall’artista
E’ recente la notizia che la Fondazione Orestiadi – Museo Delle Trame Mediterranee a Gibellina, ha acquisito nella propria Collezione Permanente l’opera Archeologie (dittico), realizzata da Giovanni Leto nel 2017.
BIAS 2018 | Palermo, Sicilia * Venezia * Egitto * IsraeleBiennale Internazionale d’Arte Sacradelle credenze e religioni dell’umanità
LA PORTA | Porta itineris dicitur longissima esse14 aprile – 14 settembre 2018
a cura di
Chiara Modìca Donà dalle Rose, Rosa Mundi – Fabio Armao, Rolando Bellini, Guido Brivio, Gian Camillo Custoza de’ Cattanei, – Aude de Karros, Enzo Fiammetta, Alberto Ferlenga, – Valeria Li Vigni, Valeria Sichera e Angela Vattese
Giovanni Leto è rappresentato nella mostra con tre grandi opere dislocate tra il Museo Riso / Polo Museale Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo e la Fondazione Orestiadi di Gibellina.
Momenti dell’Inaugurazione al Museo Riso di Palermo e le opere.
Giovanni Leto, Obelisco, 2016. Carta, cartone, pigmenti e corda, cm.120x190x70 (spazio espositivo Fabbriche Chiaramontane – Agrigento, 2016).
Il quadro “Orizzonte bianco” del 2016 è una delle opere inedite che accoglie lo spettatore nella mostra e nel nostro racconto. Il titolo è lo stesso del primo orizzonte che Giovanni Leto ha realizzato nel 1985, ma essendo i due quadri due risposte a due contesti artistici e storici differenti hanno implicazioni altrettanto differenti.
“Orizzonte bianco” del 2016, avendo misure ridotte rispetto ai quadri del 1985, propone una fruizione di tipo intimo che si rivolge ad un nuovo livello di interiorizzazione da parte dell’artista, dei fatti e del reale. Quest’interpretazione è permessa dalla comparsa, insieme alla materia cartacea dei “quotidiani” lavorati e compressi in se stessi, di alcuni frammenti di pellicola fotografica e di diapositive oltre a pagine di riviste e settimanali.
Questi inserimenti possono inizialmente essere scambiati come elementi formali al pari delle sgocciolature di bianco e delle parti di colore nero che coprono o sublimano il testo stampato. Tuttavia, osservandoli meglio si rivelano non tanto per dei ready made ma per quello che sono, ovvero: reperti di un’epoca lontana basata sull’industrializzazione meccanica. E’ proprio la distanza storica che permette loro di convivere (matrice fotografica le pagina di giornale) su uno stesso livello: causa ed effetto implodono al tempo dei social network, vicendevolmente.
Questa constatazione di Giovanni Leto non ha a che fare con una dimensione nostalgica della tecnologia analogica, né è legata ad una lettura antiglobalizzazione. Leto, in maniera diretta, punta a prendere coscienza non solo delle informazioni che il fruitore dell’arte e della vita ha a disposizione in tempo reale, ma gli suggerisce anche una maggiore consapevolezza del contesto mentale e fisico da cui attinge tali informazioni per non subirle passivamente. Questa riflessione sulla necessità di orientarsi nel mondo virtuale come in quello reale è evocato, in parte, in “orizzonte bianco”, grazie alla presenza della bobina, originariamente destinata a contenere e preservare il film fotografico ed ora, ridotta in brandelli, rimanda per forma all’ago della bussola che sprofonda nella materia colorata. Questo lavoro del 2016 è il risultato di un gesto radicale che non si rivolge alla natura e al ruolo della pittura – a differenza dei suoi primi quadri del 1985 – bensì al contesto attuale della società mediatica digitalizzata. Da quest’opera – come dalle altre dell’ultimo anno in cui ingloba elementi di riproduzione analogica – emerge, piuttosto, una forte necessità di discutere sulle nuove responsabilità sociali legate alla trasmissione su larga scala del “sapere”, il quale si presenta apparentemente democratico e soprattutto in grado di offrire facilmente tutte le informazioni del presente e del passato. L’utilizzo che il singolo e la collettività decide di fare di questa massa di conoscenza è un altro discorso e proprio questo – osservando la mostra alle Fabbriche Chiaramontane di Agrigento – sembra essere il così detto nocciolo della questione che ha accompagnato il lavoro di Giovanni Leto in questi ultimi decenni.
La mostra dal titolo “orizzonte in orizzonte” è un’occasione unica per osservare come la ricerca di Giovanni Leto in questi ultimi trentuno anni – da quando nel 1985 ha inglobato l’uso semantico e materico della carta dei “quotidiani” nel “fare” pittura – si è sviluppata con coerenza, pur proponendo sempre soluzioni concettuali e formali inedite. Ri-percorrere oggi la sua indagine, dal mondo smaterializzato dei social network e del “presente espanso”, conduce inevitabilmente lo spettatore a confrontarsi su come il concetto di immagine, di new media e di appartenenza identitaria siano mutati rispetto alle premesse del Novecento e di conseguenza su come lo siano anche il ruolo della politica, della natura dell’audience, oltre che quello della memoria collettiva e del concetto di storia. Gli elementi costanti e presenti nel suo lavoro, decennio dopo decennio, possono essere sintetizzati in alcuni punti specifici, ma che fanno tutti capo alla scelta del 1985 di adottare il giornale come materiale dei suoi quadri, al pari del pigmento cromatico. I giornali, infatti, sono manipolati e lavorati per ottenere dei cordoli in cui le immagini e i testi, ospitati sulle singole pagine, non sono né negati né celebrati, a causa della torsione su se stesso del supporto cartaceo, bensì sono trasformati in potenzialità di senso. Questi singoli elementi poi sono accostati tra loro al fine di formare una seconda pelle magmatica e materica che concede volume, rendendo viva una porzione della superficie della tela. Quest’ultima è sempre posta dall’artista – salvo rari casi – nella parte sottostante del quadro e in evidente dialogo con una parte monocroma in cui il quadro si presenta per quello che è: superficie e stratificazione di colore. L’incontro o il dialogo tra queste due presenze sulla tela è il modo per Leto di visualizzare due importanti tensioni esistenti nell’arte dalle Avanguardie storiche fino ad oggi, che possono essere sintetizzate nell’opposizione tra “spirito” e “materia”, tra il visualizzare dimensioni di spazio “altro” o concretizzare quello stesso dell’oggetto quadro. Leto inserisce quest’opposizione, però, in un ambito cognitivo fornendogli una chiave di lettura più ampia e solo apparentemente figurativa per mezzo dei titoli che utilizza: “orizzonti”. Questa scelta dell’artista ha naturalmente differenti implicazioni e moventi. Il primo è sicuramente legato alla necessità di far convivere il gesto assoluto della pittura con la comunicazione di massa. Il secondo rimanda alla necessità di introdurre una dimensione narrativa e immaginativa all’interno della tradizione della pittura analitica. Il terzo, infine, è quello di portare al centro del discorso la percezione attiva dello spettatore per mezzo del suo concretizzare e smaterializzare la superficie dell’opera, spostando così il campo delle implicazioni dallo spazio illusorio del paesaggio rappresentato all’esperienza diretta dell’opera. Sicuramente dal punto di vista storicistico il contrasto/dialogo – tra astrazione e immaginazione figurativa – che ha presentato sulla superficie del quadro è stato un suo modo – molto personale – di dar voce all’impasse in cui la pittura si trovava a metà degli anni Ottanta. Infatti, se da una parte era ancora presente l’ideologia e l’utopia che aveva caratterizzato la stagione astratta intrisa di fiducia in un futuro unificante collettivo, dall’altra incalzava sempre di più la diffusione della pittura espressionista della Transavanguardia, che si rivolgeva al serbatoio del passato storico/artistico alla ricerca di un segno arcaico individualizzante. In questo contesto di conflitto ideologico e formale, Giovanni Leto si è inserito proponendo una terza via capace di inglobare entrambe le problematiche. Leto nel visualizzare l’opposizione tra analogico e digitale, tra globale e locale e prima ancora tra astrazione e figurazione ha puntato non a creare un contrasto ideologico, bensì ad individuare uno spazio mentale e fisico per proporre una discussione aperta sul possibile ruolo dell’arte all’interno della società che lo alimenta.
Il percorso espositivo che si svolge all’interno degli spazi alle Fabbriche Chiaramontane di Agrigento è stato concepito come un procedere a ritroso dal quadro più recente di Leto, “Orizzonte bianco” del 2016 – collocato all’ingresso –, ai quadri storici del 1985. La mostra non vuole essere una retrospettiva classica, piuttosto un punto d’osservazione privilegiato dal “presente” sulle tematiche affrontate dall’artista: confronto tra arte e mass media e tra pittura e scultura, l’analisi dell’influenza del passaggio dall’astrazione alla figurazione negli anni Ottanta e quello dal supporto libro al giornale fino ai touch screen attuali. La scelta di raccontare un percorso procedendo nel suo senso contrario risulta molto adatta al tipo di ricerca di Giovanni Leto, che non si è sviluppata secondo il canone di evoluzione stilistica di stampo novecentesco, ma sull’analisi orizzontale dei pro e dei contro del ruolo dell’arte rispetto alla società globale all’interno del così detto “post moderno” ed oggi della “modernità liquida”. Inoltre, il titolo di “Orizzonte in orizzonte” mette in evidenza, da una parte, che i quadri di Leto hanno concretizzato, allegorizzato o sublimato non la linea dell’orizzonte e il paesaggio reale, bensì il concetto di questo stesso; dall’altra che l’orizzonte in questione – proprio perché visto a volo d’uccello, come mappa, come annullamento di spazio in dialogo con il contenitore dell’architettura – ha sempre a che fare con l’incontro con l’osservatore che lo fruisce. Infatti, l’orizzonte, citato nei vari titoli da Leto osservando opera dopo opera dal 2016 al 1985, non corrispondere solo ad un’icona, bensì ad un tema da affrontare da più punti di vista, da quello ontologico a quello sociopolitico, dalla tela ai libri d’artista, dalle sculture allo spazio architettonico. Da questo punto di vista la capacità di interazione della sua pratica pittorica con lo spazio fisico/psichico in cui si manifesta risulta centrale ed evidente sempre e non soltanto in installazioni come ‘Percorsi’ od ‘Entropia’, opere degli anni Novanta. Questa è un’esigenza che si trasforma in gesto unico, con cui sintetizzare il dialogo con i media e con la pittura, pur accogliendo significati differenti derivati dal contesto e dal momento storico (metaforicamente e fisicamente) in cui si manifesta. Questo aspetto di cercare un equilibrio tra gesto riformulante della pittura e gesto intimo è costante nella ricerca di Giovanni Leto e proprio per questo nelle sue opere non si può parlare di monocromo in senso stretto, dato che il suo monocromo viene costantemente messo in crisi dalla porosità del linguaggio evocato dall’uso dei giornali. L’attitudine di Giovanni Leto di contestualizzare il ruolo dell’arte rispetto alla coscienza che la società ha di sé e viceversa, lo conduce nelle produzioni degli ultimi due anni – pittoriche, scultoree e installative – ad inserire sulla superficie dell’opera presenze particolari come frammenti di diapositive, pellicole fotografiche, collage di riviste, così come nastro magnetico sbobinato ed usato come corda, evidenziando la loro essenza di materiali di altri tempi, non soltanto dal punto di vista concettuale, ma soprattutto da quello tecnico. Infatti, questi vengono mostrati come dei “sopravvissuti”, ormai inservibili a causa delle parti rotte. Quello che Leto provoca, però, non è un cortocircuito tra realtà e rappresentazione come accadeva per le opere di Daniel Spoerri o di Joe Tilson, ma tra ciò che viene considerato nuovo, rinnovabile e ciò che viene ritenuto obsoleto ed arcaico, puntando ad aprire una costante discussione attorno alla ri-attivazione del ruolo della memoria collettiva e del concetto di archivio e di trasmissione del sapere. Proprio questo approccio lo ha portato a riflettere in maniera costante sui libri d’artista come strumenti del costruire e archiviare e ultimamente all’installazione “Spazio (orizzonti)” che si manifesta in quanto orizzonte espanso non da osservare frontalmente, ma da percorrere e immaginare e con cui fare i conti con la fiducia nella scienza e nella tecnica di novecentesca memoria. Attraverso l’osservazione delle sue ultime è possibile adesso comprendere meglio che Giovanni Leto ha sempre puntato a stabilire un dialogo particolare tra il concetto di monumento e quello di disegno astratto, tra la diffusione della conoscenza oltre i confini nazionali – permessa dall’invenzione di Gutenberg dei caratteri mobili – e la sua attuale dispersione – per mezzo dei recenti screen touch e dei codici elettronici – nell’etere.
In questo percorso appare evidente che la sua scelta non è stata guidata dalla curiosità di indagare del materiale extra-pittorico, bensì dalla volontà di spostare la questione dell’attrazione e repulsione per la superficie / quadro dal contesto delle avanguardie storiche al nuovo mondo edonistico degli anni Ottanta per affrontare, così, una nuova riflessione sul possibile ruolo della pittura nel mondo mediatico.
Nota:
Questo testo, così come la scelta del display della mostra ad Agrigento, ha voluto rispondere alla necessità di contestualizzare il percorso di Giovanni Leto rispetto al contesto sociale e artistico attuale, contesto ampliamente analizzato e destrutturato proprio dalla sua produzione degli ultimi due anni. Allo stesso tempo per non perdere di vista le varie sfumature e implicazioni che ha avuto il suo lavoro decennio dopo decennio era fondamentale inserire all’interno di questo catalogo una selezione della sua ampia bibliografia che potesse aprire a differenti riflessioni legate in maniera più specifica a periodi storici precedenti. Questi testi, per evidenziare il loro contestualizzare un periodo ben preciso, sono stati riprodotti come documenti, ovvero mantenendo la loro forma confezionata per il catalogo, il libro o la rivista on line. Ogni testo apre e chiude un decennio di attività di Giovanni Leto nella sezione dedicata ai lavori che non si trovano in mostra e che propongono una progressione storica proprio per bilanciare la progressione dal presente verso il passato proposta dalle opere presentate nella sezione iniziale corrispondente alla mostra. I testi sono di: (mettere chi e dove è apparso in senso di impaginazione nel libro).
Intervista a Giovanni Leto: dalla narrazione collettiva alla pittura materica
Sara Durantini
15 febbraio 2018
Un “oggetto trovato” degli scarichi, macerie della civiltà, che prendono una forma indistinta, sembrano ritornare quasi alla preistoria, assumere la faccia delle terre di nessuno, della assenza dell’uomo stampata negli orizzonti con tante schegge di sua passata e consumata presenza.
Marcello Venturoli (a cura di), Giovanni Leto / Le terre di nessuno,
ed. Associazione Culturale Hobelix, Messina, 1985
Orizzonte alfa, 1985
Orizzonte bianco, 1985
Senza titolo, 1985
Dalle esplorazione della pittura evocativa a una più acuta e matura ricerca del significato dell’oggetto inteso come elemento “in superficie”. La scoperta dell’oggetto che oltrepassa i confini della tela per essere reinventato, nuovamente contestualizzato e modificato è il fil rouge dell’arte di Giovanni Leto, un punto di partenza nella sua indagine quotidiana. La ricerca si nutre di immaginazione, la quale interseca la storia personale con una narrazione collettiva, in un gioco (e in un intreccio) di materiali e colori, creando trascendenze pittoriche e suggestioni filologiche che richiamano i Sacchi di Burri e i décollages di Rotella.
In questa intervista ripercorriamo, con l’aiuto dell’artista Giovanni Leto, la sua carriera, dalla pittura evocativa a quella “materica”, dal contesto pittorico, au delà de la peinture, nel quale ha sperimentato le prime esperienze alle più recenti esposizioni e alla sua ricerca, in continuo divenire.Secondo l’opinione di molti critici (Di Genova e Venturoli, per citarne alcuni…) le tue opere possono essere inserite in un percorso artistico simile a quello di Burri e Rotella per l’utilizzo “dell’oggetto”: la tela diventa trasposizione del sé, riflessione, ricerca e meditazione sia personale sia collettiva. Che cosa puoi aggiungere in merito a questa descrizione?G.L: Penso anch’io di appartenere a quella linea di ricerca e questo nonostante l’idea di uno sviluppo lineare e progressivo della storia, può oggi sembrare tramontata. Burri e Rotella, senza dimenticare Fontana, sono punti di riferimento importanti da cui è ancora possibile ripartire per nuovi traguardi.Ti senti partecipe di un discorso artistico iniziato nel corso del ‘900 con l’inserimento di elementi materici nei quadri e a quale artista ti senti più affine?
G.L: Certamente l’irruzione di elementi materici nella superficie della tela, ha origine nelle Avanguardie storiche e caratterizza ancora oggi molta arte. Tale pratica, per molti artisti, nasce dal desiderio di aggiungere brandelli di “realtà” ad un’arte che si è sempre data come finzione, quindi dal bisogno di sanare in qualche modo la distanza tra arte e realtà. Per quanto mi riguarda, l’utilizzo nel mio lavoro di fogli di giornale attorcigliati tattilmente e stratificati sulla superficie pittorica, non tende a risolversi in un puro e semplice trasloco dell’oggetto dalla realtà alla tela. Si tratta invece di una pratica in cui è primario il bisogno di intervenire a modificare, reinventare, dare nuovo senso all’esistente, alla realtà oggettiva mediante un rapporto attivo, non contemplativo con l’oggetto assunto.
Quale rilevanza puoi dare all’elemento autobiografico nel tuo lavoro?
G.L: Nell’arte l’elemento autobiografico non manca quasi mai, è sicuramente un aspetto importante: permette di raccontare la propria vita anche quando non ne hai intenzione. È nel racconto autobiografico che si sviluppa la coscienza di sé, l’autocoscienza, ed è lì che gli oggetti, i luoghi, il passato e il presente assumono valore. Nei miei fogli di giornale attorcigliati, non c’è stampata e custodita soltanto la biografia collettiva, le notizie che riguardano la società, ma anche la mia vita personale, i miei umori, il mio sentire personale. È come se ripetessi il gesto di mia madre, che tra gli anni Quaranta e Cinquanta, in una vita di stenti, riduceva in torce le pagine dell’Unità per accendere i fornelli. In quel gesto, lei, a volte, imprimeva rabbiosamente tutto l’odio che nutriva per i contenuti politi che quel quotidiano, tanto caro a mio padre, veicolava. Non sopportava il fatto che, in nome del benessere collettivo, suo marito sacrificasse il bene della famiglia. Quel gesto è rimasto inconsapevolmente nella mia memoria per anni e quando è riaffiorato, ho capito che la presenza del giornale attorcigliato nelle mie opere non veniva dal nulla.
Tempo fa, in un articolo sul tuo lavoro, parlavo di “fenomenologia dell’essere umano”. Da dove è partita la tua ricerca del sé e di un “io” collettivo (oltre che personale) e dove credi che approderà? E soprattutto si potrà mai mettere un punto a questa ricerca?
G.L: Per quanto mi riguarda, superata precocemente la fase in cui nei primissimi anni di studio mi limitavo a riprodurre la realtà così come era nella sua apparenza, ho iniziato quasi istintivamente a problematizzare il vissuto, a cercare nelle cose l’essenza, a voler andare oltre ciò che nelle cose era ovvio. Per la verità, un grande aiuto in questo fare riflessivo, mi è venuto anche dalla mia insegnante di Disegno dal vero, negli anni di studio all’Istituto d’Arte. Ero applicato a ritrarre un calco in gesso di epoca romana quando lei, vedendo come stavo procedendo, si avvicinò e mi disse: “Prima di impegnarti nei particolari devi trovare la forma complessiva, la struttura entro cui racchiudere ogni singolo elemento. Solo dopo avere abbozzato a grandi linee il tutto puoi cominciare a preoccuparti dei particolari”. A quel punto, per farmi capire meglio, prese la matita e la vidi intervenire in quel disegno con tanta decisione ed energia finché, con pochi tratti, tradusse in forme i suoi suggerimenti. Il mio timido e pulito disegno ne uscì distrutto, ma da quel momento avevo compreso molto non solo sulla necessità di dare priorità alla struttura, ma venni attratto anche dall’energia che aveva messo nel tracciare le sue linee. Questo mi portò ad abbandonare il mio segno ancora incerto e di trovare più tardi la chiave con cui trasferire il sé nel tracciare le linee sulle cose osservate, mirando con maggiore consapevolezza a ricavarne l’essenza. A cosa porterà questa ricerca? Non lo so, per come la vedo io l’uomo non cesserà mai di porsi interrogativi e di trasformare i punti fermi in punti e virgole.
Quali sono le analogie di un presente “liquido” che stiamo vivendo (tra notifiche, social media, fake news) e il periodo in cui hai dato avvio alla tua ricerca, il Novecento di Burri e Rotella?
G.L: Nel presente “liquido”, mi sembra non sia cambiato nulla di veramente sostanzioso rispetto a prima. Trovo soltanto una salutare moltiplicazione di strade da percorrere e di modi di fare ricerca che si pongono però, inevitabilmente, anche se non si vuol vedere, in continuità con le ricerche avviate nel passato a cominciare da quella di Picasso che con molto anticipo, nelle sue ricerche (tra cubismo, antropologia e primitivismo), affermava “Io non cerco, trovo” come a voler demolire un modo preordinato di cercare. Oggi si abbattono muri, linee di confine; c’è una mescolanza di situazioni diverse, la possibilità di viaggiare senza preconcetti, di esplorare il mondo, la vita in tutte le sue forme e colori, ma il fine, a ben guardare, è ancora lo sviluppo progressivo delle conoscenze. Il problema nasce quando nella società si pensa di poter navigare senza un salvagente, un fare critico, una adeguata attrezzatura che eviti di naufragare. Nel presente liquido, viaggiare attrezzati è più che mai necessario: serve a mettere un qualche argine al rischio di una deriva, ad avere dei punti di approdo solidi in cui poter riflettere, approfondire e valutare via via le esperienze, la moltitudine di informazioni che passano indiscriminatamente attraverso i social media. Questo, dopo l’abbuffata passatista, nostalgica della Trans arte, mi sembra stia già avvenendo, l’idea di un certo “presente liquido” sta già passando di moda, cede il passo a molti giovani artisti animati di spirito più o meno analitico e critico e voglia di riprendere in modo nuovo il filo di un rigoroso approccio fenomenico con l’esistenza.
Giovanni Leto nasce a Monreale (Palermo) nel 1946. Il suo percorso artistico inizia all’Istituto Statale d’Arte di Palermo. Nel 1964 consegue il diploma di Maestro d’Arte, lascia la Sicilia per frequentare l’Accademia di Brera. Nonostante la breve permanenza, Leto ha modo di frequentare il corso di pittura tenuto da Domenico Cantatore e le lezioni di storia dell’arte condotte da Guido Ballo. Tornato in Sicilia, Leto prosegue i suoi studi all’Accademia di Belle Arti. Risalgono a questi anni le prime esposizioni.
Leto riprende la sua carriera negli anni ’80, in seguito a una breve stasi. Con la partecipazione a Expo-Arte di Bari, l’artista viene notato dalla critica: Giorgio Di Genova, Enrico Crispolti, Filiberto Menna, Pier Restany, Francesco Vincitorio riconoscono i suoi lavori. Sempre di questo periodo l’importante segnalazione da parte del critico Marcello Venturoli che, dopo aver scritto di Leto in Flash Art come uno dei “dodici artisti più interessanti della Decima Expo Art”, cura una sua personale a Messina, alla galleria Hobelix. E’ da questo momento che Leto inizia ad esporre in tutto il Paese, entrare in contatto con critici d’arte, ricevere riconoscimenti.
Più di 500 artisti italiani di fama hanno prodotto la propria “visione angelica” per decorare le pareti della Iglesias de los Angeles, edificata nell’estancia argentina El Milagro. Ciascuna riproduzione è stata poi trasferita da maestranze del luogo in mattonelle. Presso il Serrone della Villa Reale di Monza l’esposizione di tutte le opere originali create dagli artisti.
Si apre domenica 3 dicembre 2017 alle ore 18.00 presso il Museo Epicentro di Barcellona Pozzo di Gotto, località Gala, la XXIV. Esposizione Nazionale d’arte “Artisti per Epicentro”, a cura di Nino Abbate, con testimonianze scritte da Carmelo Aliberti, scrittore e Maurizio Spatola, poeta visivo. Con la partecipazione degli artisti: Carlo Ambrosoli – Aldo Bertolini – Antonella Cappuccio – Silvio Cattani – Carmela Corsitto – Luca Coser – Luca Crocicchi – Silvestro Cutuli – Mariangela De Maria – Camillo Francia – Duilio Gambino – Jonathan Hynd – Luca Lischetti – Giovanni Leto – Caterina Nelli – Pierpaolo Ramotto – Gianni Rossi – Giancarlo Savino – Fatbardha Sulaj – Anna Torelli. Artisti presenti nelle maggiori collezioni pubbliche e private e alle rassegne d’arte più importanti come la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma, per l’occasione hanno creato delle opere di cm. 30×30 con qualsiasi tecnica e materiale per la collezione d’arte su mattonelle del Museo Epicentro che ospita una raccolta unica a livello internazionale con oltre 1.100 opere degli artisti più importanti sulla scena internazionale dell’arte contemporanea. L’esposizione si può visitare fino al 30 dicembre 2017 dalle ore 16,00 alle ore 18,00. Festivo ore 10,00 -12,00. Lunedi chiuso. Per informazioni: www.museoepicentro.com – e mail epicentromuseo@virgilio.it.
Associone Culturale Villa Buzzati San Pellegrino – Il Granaio - Belluno
Voci Visibili nel Granaio 42 poeti visivi per Dino Buzzati
Giovanni Leto, Racconti Aniconici, 2017 Carta, cartone, grafite, inchiostro e acrilici
Voci Visibili nel Granaio 42 poeti visivi per Dino Buzzati Mostra di Poesia Visiva a cura di Alfonso Lentini Coordinamento di Valentina Morassutti Allestimento Blulinea Project Group Granaio di Villa Buzzati San Pellegrino – Belluno Inaugurazione: sabato 30 settembre ore 18.30 con interventi di Paolo Albani Carlo Marcello Conti Alfonso Lentini
Dal 30 settembre al 15 ottobre 2017
Comunicato Stampa Il 30 settembre 2017 alle ore 18.30 sarà inaugurata a Belluno nel Granaio di Villa Buzzati la mostra di Poesia Visiva “Voci Visibili nel Granaio, 42 poeti visivi per Dino Buzzati”, terzo evento della nuova edizione di “Giardino Buzzati” che quest’anno si intitola “Costruzioni mentali”. All’inaugurazione, insieme ad Alfonso Lentini, curatore della mostra, interverranno due figure di spicco dell’area verbo-visuale, Paolo Albani e Carlo Marcello Conti. Saranno esposte opere di Paolo Albani, Giovanni Anceschi, Fernando Andolcetti, Antonio Baglivo, Nerella Barazzuol, Claudio Benzoni, Rossana Bucci, Carlo Cané, Alberto Casiraghy, Cosimo Cimino, Carlo Marcello Conti, Serena Dal Borgo, Flavio Da Rold, Roberto De Biasi, Marcello Diotallevi, Cinzia Farina, Luc Fierens, Alessio Guano, Lia Franzia, Aurelio Fort, Jhon Gian (Gianantonio Pozzi), Michele Lambo, Alfonso Lentini, Giovanni Leto, Oronzo Liuzzi, Chen Li, Elena Marini, Ruggero Maggi, Enzo Minarelli, Valentina Morassutti, Annalisa Moschini, Giancarlo Pavanello, Lamberto Pignotti, Enzo Patti, Gian Paolo Roffi, Claudio Rossi, Giani Sartor, Domenico Scolaro, Franco Spena, Giovanni Trimeri, Giorgio Vazza.
Catalogo: cofanetto contenente 42 cartoline e un testo di Alfonso Lentini, foto di Manrico Dall’Agnola, progetto grafico di Giorgio Collodet. Associazione Culturale Villa Buzzati San Pellegrino – Il Granaio Via Visome 18 – 32100 Belluno tel e fax +39 0437 926414 mob. +39 3336486024 email: culturavillabuzzati@gmail.com Facebook: Associazione Culturale Villa Buzzati
La collezione d’arte contemporanea della Camera di Commercio di Vibo Valentia si espande e diventa un Museo a tutti gli effetti
Nasce un nuovo Museo a Vibo Valentia: la collezione d’arte contemporanea, messa insieme negli anni dalla Camera di Commercio con un prezioso lavoro di ricerca artistica, si espande grazie all’arrivo di oltre 50 nuovi lavori e diventa a tutti gli effetti un Museo d’Arte Contemporanea
Tra gli artisti in collezione vi è Giiovanni Leto con la seguente opera:
Giovanni Leto, Assemblaggio (ritratto di ignoto), 2012
Agrigento, Dicembre 2016 – Le Fabbriche Chiaramontane di Agrigento hanno il piacere di presentare, sabato 3 dicembre 2016 alle ore 18.00, la retrospettiva di Giovanni Leto dal titolo Orizzonte in orizzonte, 1985/2016, a cura di Lorenzo Bruni.
La mostra personale, organizzata all’Associazione Amici della Pittura Siciliana dell’Ottocento, di Giovanni Leto – nato a Monreale nel 1946 e che dal 1976 vive e lavora a Bagheria – è costituita dalle opere “pittoriche” più rappresentative realizzate dal 1985 al 2016: dai quadri su tela alle opere su carta, dagli interventi scultorei con pagine di giornali ai libri d’artista. Oltre all’installazione inedita “L’Obelisco” 2016, costituita da volumi di carta stampata che formano corde che si dipanano nello spazio fisico dall’alto, che punta a stabilire un dialogo particolare tra il concetto di monumento e quello di disegno astratto, tra la diffusione della conoscenza oltre i confini nazionali – permessa dall’invenzione di Gutenberg dei caratteri mobili – e la sua attuale dispersione – per mezzo dei recenti screen touch e dei codici elettronici – nell’etere.
La scelta di realizzare un intervento scultoreo, specificatamente per lo spazio centrale delle Fabbriche Chiaramontane, trasforma in una chiave di lettura stimolante per tutte le opere in mostra la particolare attitudine dell’artista di: indagare le potenzialità della pittura e dell’immagine del paesaggio a non essere solo spazio illusorio ma di farsi presenza fisica e viceversa. In questo modo, la capacità di interazione della sua pratica pittorica con lo spazio fisico/psichico in cui si manifesta, risulta centrale ed evidente non solo in installazioni come ‘Percorsi’ od ‘Entropia’ del 1992. Allo stesso tempo appare naturale che per Leto l’immagine dell’orizzonte – evocato dai suoi titoli e che si concretizza, nei singoli quadri, nella tensione tra la pellicola/massa di colore, più o meno ampia, e quella materica sottostante – non è per lui solo un’icona, bensì un tema da affrontare da più punti di vista tra cui quello ontologico e sociopolitico.
Come scrive Lorenzo Bruni nel suo testo critico: La mostra ‘Orizzonte in orizzonte’ è un’occasione unica per osservare come la ricerca di Giovanni Leto in questi ultimi trentuno anni – da quando nel 1985 ha inglobato l’uso semantico e materico della carta dei “quotidiani” nel “fare” della pittura – si è sviluppata con coerenza, pur proponendo sempre soluzioni concettuali e formali inedite. Ri-percorrere oggi la sua ricerca, dal mondo smaterializzato dei social network e del presente espanso, conduce inevitabilmente lo spettatore a confrontarsi su come il concetto di new media e di comunità siano mutati rispetto alle premesse del Novecento e di conseguenza su come lo siano anche il ruolo del politico, di audience, oltre che quello della memoria collettiva e del concetto di storia […].
Il percorso espositivo, scelto appositamente dal curatore per gli spazi delle Fabbriche Chiaramontane di Agrigento, procede a ritroso dal suo ultimo quadro dal titolo “Orizzonte bianco” del 2016 – collocato all’ingresso dello spazio – fino ai suoi lavori storici del 1985.“Tra le sue opere precedenti – precisa Lorenzo Bruni – sono da citare le pitture monocrome su carta dei primi anni del duemila, in cui gli inserimenti dei volumi delle corde di giornale arrotolate a spirale evocano “cosmi” sperduti in uno spazio “altro”, ma anche i “bassorilievi” degli anni Novanta, in cui la superficie della tela è completamente occupata dalla carta lavorata come se fosse una lamina di bronzo cesellato per ospitare forme coloriche monocrome che rimandano ad un orizzonte/paesaggio visto “a volo d’uccello”. Il punto di arrivo in mostra – continua il curatore – è costituito dalle opere del 1985, anno in cui Leto adotta per la prima volta la carta di giornale. In questo percorso appare evidente che la sua scelta non è stata guidata dalla curiosità di indagare del materiale extra-pittorico, bensì dalla volontà di spostare la questione dell’attrazione e repulsione per la superficie/quadro dal contesto delle avanguardie storiche al nuovo mondo edonistico degli anni Ottanta per affrontare, così, una nuova riflessione sul possibile ruolo della pittura nel mondo mediatico”.
Il catalogo ragionato, che viene pubblicato appositamente per questa occasione dall’Edizione Amici della Pittura Siciliana dell’Ottocento, permette di indagare da punti di vista differenti il lungo percorso introspettivo che Leto ha intrapreso tra il mezzo della pittura (il colore) e il medium della comunicazione di massa (la carta stampata). Il libro, oltre al testo critico di Lorenzo Bruni, contiene una selezione di scritti storici sul suo lavoro che vanno da quello di Vittoria Coen del 1990 a quello di Enrico Crispolti del 2003, da quello di Filiberto Menna del 1989 a quello di Davide Lacagnina del 2004.
SCHEDA TECNICA
Giovanni Leto
Orizzonte in orizzonte 1985/2016
a cura di Lorenzo Bruni
3 Dicembre 2016 – 29 Gennaio 2017
INAUGURAZIONE 3 Dicembre 2016 – ore 18.00
FABBRICHE CHIARAMONTANE
Agrigento |Piazza San Francesco 1
Orari: Da Martedì a Domenica 10.30 – 12.30 / 16.00 – 20.00 . Chiusura: Tutti i Lunedì; 25 ,26 Dicembre e 1 Gennaio 2017.
Aperture Festivi: 8 Dicembre e 6 Gennaio | Ingresso 1 euro | Tel. 0922 27729
Organizzazione: Associazione Amici della Pittura Siciliana dell’Ottocento – www.ottocentosiciliano.it
Catalogo: Amici della pittura siciliana dell’Ottocento con testi di Antonino Pusateri, Lorenzo Bruni e Valentino Catricalà.
Con il contributo di Elenka e Cantieri delle Arti
Con il Patrocinio del Comune di Agrigento e in collaborazione con il Parco della Valle dei Templi di Agrigento
Giovanni Leto, Tracce, 1974, Olio su tela, cm.70×80. Proprietà dell’autore
Questa raccolta di opere, di artisti, che hanno determinato il clima culturale e il carattere di quelli Anni ‘”Settanta” del Novecento in Sicilia, vuole essere come lo still life, parziale ma eloquente, di un’azione vitale che si è svolta in un tempo ormai lontano e oggi ritorna nei tanti frammenti sospesi che acquisiscono il valore della ricerca, dell’effrazione, di un anticonformismo attivo ed autentico, di intelligenze e personalità ricettive e originali, alcune di queste ancora oggi presenti e operanti, con una certa continuità evolutiva, nello scenario artistico siciliano e nazionale, altre oscurate, se non mortificate, da una distrazione colpevole e superficiale, altre ancora sospese dalla morte nel gesto vitale di una creatività che sarebbe stata ancora capace di dare i suoi frutti nel nostro presente. Eppure, ancora non era stato pensato in Sicilia (ne’ a Palermo, ne’ a Catania, aree maggiormente interessate dai fenomeni dell’arte) un tentativo come quello oggi proposto alle Fabbriche Chiaramontane che indicano, così, un percorso consapevole di non essere esauriente ma certo che esso vada proseguito, approfondito, valorizzato, pensando in futuro di estendere questa ricerca persino agli anni “Ottanta”, anch’essi trascurati dalle istituzioni culturali e non ancora affrontati dagli storici dell’arte siciliana. È così che da una ricerca dell’Associazione, nutrita dal confronto con altre figure di esperti e appassionati della materia, nasce questa esposizione che delinea uno scenario creativo che si avvale delle opere di:Gaetano Testa, Nino Titone, Giacomo Baragli, Francesco Carbone, Tino Signorini, Gigi Martorelli, Mario Pecoraino, Tano Brancato, Antonio Brancato, Enzo Indaco, Antonio Freiles, Michele Canzoneri, Giovanni Leto, Ferdinando Valentino, Guido Colli, Nicolò D’Alessandro, Toti Garraffa, Enzo Patti, Mario Vitale, Ninni Sacco, Rosario Bruno, Gai Candido, Franco Cilia, Gino Cilio, Silvio Guardi,Carlo Lauricella, Vincenzo Nucci, Alfredo Romano, Lillo Rizzo, Franco Spena, Giusto Sucato, Gaetano Lo Manto
Il trailer di Animaphix 2016 “Festival Internazionale del cinema di animazione” è un tributo all’artista siciliano Giovanni Leto. Nasce dall’idea di esplorare gli “orizzonti metafisici” delle sue opere attraverso la tecnica dello stop motion, andando oltre la reificazione pittorica.
Il percorso post-contestuale dell’artista converge idealmente con quello del festival che rivolge particolare attenzione al cinema astratto e sperimentale e guarda in modo trasversale all’arte intesa come linguaggio universale. In pochi secondi le ondulate, serpentinate e labirintiche sedimentazioni fatte di rotoli di carta prendono vita, si animano, invadendo e conquistando lo spazzio, liberandosi dagli orizzonti metafisici e ritornano materia ridotta allo stato primordiale.
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The Animaphix 2016 “International festival of animated film” trailer is a tribute to the sicilian artist Giovanni Leto, it comes from the idea to explore the “metaphysical horizons” of his works by the means of the stop moton technique, adding more pieces to the pictorial reification. The post- conceptual path of the artist merges perfectly with the festial, which focuses, in particular, onthe abstract and experimetal cinema and looks transversaly at art as a universal language.
In a few second, the wavy, snaky and labyrinthine sediments made of rolls of paper coeminto life, they animate, invading and conquering space, releasing themselves from metaphysical and turning back into primordial matter.
ideated by Rosalba Colla
direction & Animation by Angela Conigliaro & Riccardo Matera
sound & music Giocchino Balistreri
Dal 23 aprile al 31 luglio 2016 è allestita alla FAM Gallery di Agrigento, la mostra Progetto «Forma»: un approfondimento sull’arte italiana dal secondo dopoguerra che, concentrandosi sul medium pittorico, indaga il succedersi dei vari stili e linguaggi fino al prevalere dell’Astrazione e alle successive sperimentazioni. Mantenendo viva l’attenzione su artisti storicizzati di origini siciliane, l’esposizione prevede un frequente turn over delle opere in mostra. Tra gli artisti: Pirandello, Migneco, Accardi, Consagra, Sanfilippo, Schiavocampo, Panzeca, Isgrò, Leto. Maugeri, Pinelli, Rizzo, Bruno, Moncada, Zanghi, Simeti, Vedova.
Un ciclo d’incontri con collezionisti e storici dell’arte animerà lo spazio.
FORMA, 23/4 – 31/7 2016. Orari: da martedì a domenica 17.30 – 20.30; sabato e domenica anche la mattina 11 – 13 , lunedì chiuso. FAM GALLERY, via Atenea 91 Agrigento, Tel. 0922 27532, www.famgallery.it, info@famgallery.it
Giovanni Leto, Disco cromatico e polimaterico, 2016
COMUNICATO STAMPA
Progetto della mostra di Arte contemporanea: IL DISCO
Da un’idea di Ghislain Mayaud
Organizzazione: Vertigoarte Centro Internazionale di Ricerca per la Cultura e le Arti Visive
Museo del Presente Rende
Dal 11 Giugno al 30 Luglio 2016
Inaugurazione: Sabato 11 giugno ore 18,30
A cura di Roberto Bilotti, Gianluca Covelli, Ghislain Mayaud;
Testi in catalogo di Roberto Bilotti, Paolo Aita, Gianluca Covelli, Ghislain Mayaud;
Pubbliche relazioni: Marcello Romanelli ufficio stampa Comune di Rende;
Ada Biafore Vertigoarte, Cosenza;
Gli artisti che partecipano alla mostra sono:
Salvatore Anelli, Caterina Arcuri, Salvatore Astore, Bizhan Bassiri, Renata Boero, Lucilla Catania, Bruno Ceccobelli, Michele Cossyro, Teo De Palma, Giulio De Mitri, Chiara Dynys, Franco Flaccavento, Andrea Fogli, Andrea Gallo, Ernesto Jannini, Giovanni Leto, Ruggero Maggi, Albano Morandi, Antonio Noia, Luca Maria Patella, Tarcisio Pingitore, Carlo Rea, Ascanio Renda, Cloti Ricciardi, Alfredo Romano, Fiorella Rizzo, Giuseppe Salvatori, Saverio Todaro, Reyna Velázquez, Fiorenzo Zaffina.
Gli artisti invitati. In questa iniziativa hanno avuto modo di confrontare, con differenti linguaggi, un tema unitario, in conformità a una premessa di Ghislain Mayuad…
Da tutta l’Italia, pronti a lanciare negli spazi espositivi un disco di 38 cm di diametro, trenta artisti girano intorno all’impenetrabile e vincolante cerchio di legno. Si deve preparare in fretta grovigli di materie colorate, alfabeti dimessi, foglie strette per ogni stagione, detriti di sogni e semi di emozioni da gettare dall’alto. Emergono, da origliare, suoni asciutti per flauti, timpani e piatti, attimi di segni pronti a fiorire come aghi di un orologio. Si ronza intorno a fette di tronchi sconosciuti. Dal matematico linguaggio compositivo sorgono salmi tondi pronti al gestuale lancio. Mandato dall’India, il calcolato simbolo tondo, lo zero, atterra sulle aritmetiche rive arabe per prendere il nome “sifr”: “nulla”. Si parte per sfilare sulle bianche pareti. Disarmato, l’occhio del visitatore osserva il rumoroso arrivo dei piatti. Chi giunge prima, chi viene dopo. Il tempo del fare è schiavo, scivoloso. C’è chi atterra vicino al traguardo, chi supera la linea di arrivo. L’energia creativa non ha tregua. Dalla lontana Grecia, l’olimpico disco lancia con precisione la bellezza classica sulla storia dell’arte contemporanea.
La mostra sarà documentata in un pregevole catalogo pubblicato da Rubbettino editore, per la collana Arte contemporanea, diretta da Giorgio Bonomi.
Vertigo: Centro Internazionale di ricerca per la Cultura e le Arti Visive Contemporanee Via Rivocati 63, 87100 Cosenza, cell. 3427186496 – vertigoarte@libero.itwww.vertigoarte.org cf. 98051770786
La rivista Flash Art n. 215 aprile 1999, pubblica la classifica de
“I migliori cento artisti italiani degli ultimi quarant’anni”, classifica che vede Giovanni Leto in compagnia di artisti di rilievo internazionale, tra cui: Piero Manzoni, Gino de Dominicis, Pino Pascali, Giulio Paolini, Alighiero Boetti, Luigi Ontani, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto.
E’ di questi giorni la notizia che il Museo Guttuso, ha acquisito, nel percorso espositivo permanente, due opere dell’artista Giovanni Leto: Essenza del 2002 e Libro d’artista del 1994. Le due opere faranno compagnia a Orizzonte delta, presente nella Collezione del Museo di Bagheria, dal 1986.
Essenza, 2002 Libro d’artista, 1994. Orizzonte delta, 1985
Galleria Adalberto Catanzaro Artecontemporanea dal 14 febbraio al 25 Marzo 2016 Villa Casaurro, Via Casaurro 78, Bagheria (PA), a cura di: Ezio Pagano testo critico: Valentino Catricalà.
In collaborazione con: Archivio Giovanni Leto, Museum – Bagheria, Elenk’Art, Fabbriche Chiaramontane – Agrigento, Galleria Contact – Roma.
Catalogo: Collana “I Tascabili dell’arte” n° 92, Edizioni Ezio Pagano, 2016.
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