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GIOVANNI LETO. OLTRE IL VUOTO,

Di Giovanna Cavarretta


La sperimentazione di nuovi linguaggi, la ricerca semantica di uno stile in costante progresso, segnano le odierne tappe della produzione artistica di Giovanni Leto.  Il dialogo fra spazio e materia associato alla conquista di un’ulteriore tridimensionalità, trova rappresentazione nell’installazione “Corpus Temporis”, quale punta di diamante della sua ultima mostra personale dal titolo “Ritratto d’Ignoto”. Questa, inaugurata il 5 dicembre 2019 presso la Cappella dell’Incoronata a Palermo, ha chiuso i battenti ben oltre la prevista data del 5 febbraio, grazie alla grande affluenza di visitatori. Un’opera imponente, questa del “Corpus Temporis”, che già lasciava presagire le successive rivoluzioni nel percorso estetico-espressivo dell’artista monrealese.
   Essa era infatti costituita da una serie di involucri cartacei, che pendenti dal soffitto e sorretti a mezz’aria da fili di nylon, si libravano in estrema libertà come sospesi “nel tempo e nello spazio” lasciando intuire come il corpo in balia del tempo ne subisca una profonda trasmutazione. Infatti le informazioni contenute nei sospesi fogli di giornale, fatte di parole, eventi e concetti, dapprima come contenitori vivi di esistenze o accadimenti, assumevano ora la valenza dell’Oltre, presenze scarne, spoglie di significati, corpi-scheletri, in attesa di divenire polvere in uno spazio che assorbendoli li disperde. E così l’opera sembra svanire nel Vuoto, in un’Altra dimensione dalla quale il Tutto, forse si origina o si ricrea. Sublime e non imbevuta di ascendenze metafisiche, essa conteneva al suo interno i fondamenti di un’imminente evoluzione già ben evidenziata nel nuovo ciclo di lavori.
    Il dualismo tra creazione e dissoluzione dell’elemento cartaceo acquista, in queste ultime opere, un ruolo singolare ma non marginale. Il processo manuale che nel tempo è divenuto rito, sembra ora coniugarsi al gesto pittorico, esplicitato nelle vaste campiture di colore che invadono con più forza la tela. Il dato materico ritraendosi come presenza discreta, quale retaggio di un “segno” antico, lascia pertanto che la superficie sia copiosamente pervasa dal Vuoto. Dacché l’opera così, profondamente modificata nella struttura compositiva, realizza un innovativo principio di essenzialità rivelandosi sobria, delicata e alleggerita nello spazio e in cui l’aspetto minimalista, accostato al dato cartaceo, evince il ritmo incessante del colore, dal bianco al rosso con ricche distese cromatiche che dominano largamente il quadro.
   Come un alchimista, Leto opera una trasmutazione sostanziale per la qual cosa l’opera non è più data quale risultato della somma delle parti bensì dall’insieme, da quel Tutto fonte generatrice ad acta. L’innovazione così assume un particolare orientamento pregno di risvolti tecnici ed intellettuali molto significativi. Dal punto di vista specificatamente estetico l’Artista opera una destrutturazione del concetto di arte visiva già ben delineato in passato. Infatti, il passaggio da una composizione armonica, scaturita dal rapporto dialettico tra spazio, fisicità e rinnovata tridimensionalità, ad una struttura asimmetrica, caratterizzata dal ritmo pacato ed equilibrato delle vaste campiture, mette in rilievo la frattura con schemi artistici desueti. E la tendenza a superare il già compiuto e a pervenire ad Altre dimensioni è per Lui prerogativa imprescindibile. Questa, unita ad un’indagine attenta e meticolosa e supportata da una minuziosa capacità critica, permettono infatti a Giovanni Leto un’analisi sia sulla natura dell’opera che sul dialogo fra materia e colore messi in stretta relazione con una nozione del “Tempo”. Il che provando a travalicare la nozione storica e il proprio confine, consegna all’osservatore opere accattivanti e di notevole spessore.

Bibl.: Giovanna Cavarretta, Giovanni Leto. Oltre il vuoto, in culturelite.com – 28 luglio 2020.

QUINTETTO D’ARTE N° 3

QUINTETTO D’ARTE (A CURA DI GIORGIO DI GENOVA E CARLA GUIDI)

MOSTRA 20 APRILE 2020VISITA

 

Dal 1912, in seguito alla pubblicazione del Manifesto tecnico della scultura futurista di Boccioni, nel quale l’autore asseriva che si potesse realizzare una scultura con venti materiali differenti, la scultura e la pittura sono divenute onnivore. Pochi mesi dopo la diffusione del manifesto infatti, Braque inserì un papier collè in un suo dipinto, seguito da Picasso che vi inserì un collage, mentre Gris lo fece con un pezzo di specchio.

In scultura, comunque, nasceva l’assemblage, ma anche la scultura in ferro, in cemento ed in altri materiali, mentre Archipenko, sempre su un’indicazione di Boccioni, iniziò a dipingere le sue sculture. Questo tuttavia fu un ritorno al passato, perché le sculture nell’antica Grecia e antica Roma erano dipinte, se poi quelle in marmo non lo furono più, fu per una topica di Winckelmann. Quindi non ci si stupisca per la diversità dei materiali che usano gli artisti in quest’occasione proposti. Anzi, proprio per evidenziare la vigente dialettica, sia espressiva che tecnica, ho deciso di mettere insieme le sculture in vetro della giapponese Izumi Oki, quelle in legno dipinto di Renzo Eusebi – materiale che utilizza anche nei suoi quadri creando originali bassorilievi – e le opere rivestite di carta del siciliano Giovanni Leto; mentre per quanto attiene alla pittura, alle opere della torinese, (ma romana di adozione, ancorché passi molti mesi a Parigi col marito Giorgio Treves) Renata Rampazzi ho voluto accostare quelle di tecnica mista del frascatano Angelo Liberati, da molti anni residente a Cagliari.

L’informale è stato, a mio avviso, la più grande rivoluzione linguistica della pittura del secolo scorso, al punto che giustamente venne definito art autre dal critico Michel Tapié. Tra le tanti e diverse declinazioni di esso, la Rampazzi ne ha adottata una esecutivamente fluente in opere scandite monocraticamente, che modulano le tonalità con non infrequenti rimandi al carnale, e quindi allusivamente sensuali. Liberati, grande ammiratore di Vespignani, non s’è mai allontanato dalla pittura iconica, ma ne ha varcato i limiti con le aggiunte di scritture, di inserti (a mo’ di Poesia Visiva) di manifesti e collage di giornali quotidiani, per meglio restituire la molteplicità degli aspetti della realtà contemporanea, in cui esistenza individuale e cronaca collettiva convivono inscindibilmente.

Il giornale, anzi i giornali, da Leto vengono invece arrotolati a formare una sorta di salsicciotti, che accorpati creano opere straordinariamente particolari nell’arte odierna. Nel passato con questa tecnica e per molti anni, accorpando una sull’altra strisce di questi salsicciotti di carta (talvolta mista a stoffa, mimando le stratificazioni geologiche) ha prodotto allusive vedute che – presentando la sua antologica di Monreale – ebbi modo di definire “paesaggi dell’altrove” per il loro evidente orizzonte marcato, dalla stesura monocroma della parte superiore della tela. In seguito i salsicciotti si sono accorpati per farsi enormi libri, oggetti vari, fino a suggerire evocative fratture. E ciò ha preparato il terreno per le opere attuali, in cui i salsicciotti s’accorpano radialmente intorno ad un buco nero, oppure vengono sagomati per “vestire” una testa ed un busto, o per arrotolarsi su se stessi come coperte, o bauletti che, sospesi in aria, alludono al tempo che passa, concretamente trattenuto dai testi dei giornali.

Siamo agli antipodi del purismo geometrico di Eusebi il quale, dopo le personali rivisitazioni dell’informale intriso di indumenti alla Burri, e buchi alla Fontana (poi sfociate nel denso materismo monocromatico, a sua volta sfociato nel gestualismo di opere a più scomparti) è attualmente giunto a queste tavole sovrapposte per formare composizioni pulite e illuminate bene da stesure monocrome dei tre colori primari, in un sottile connubio di concretismo, suprematismo e neometafisica, che tuttavia Mondrian avrebbe scomunicato per via delle continue trasgressioni all’ortogonalità delle composizioni.

Anche Renzo Eusebi, nella recente esposizione tenuta in un museo di Rio de Janeiro, ha appeso al soffitto alcune di queste composizioni, accompagnate da sue sculture anche di grandi misure, ottenendo un tale successo che gli hanno proposto di fare una mostra di sole grandi sculture nel prossimo anno.

Dulcis in fundo, ad arricchire questo quintetto, sono senza alcun dubbio le sculture in vetro di Izumi Oki. Con una pazienza e precisione esecutiva, che solo gli scultori giapponesi hanno, come ho imparato nei lunghi periodi passati a lavorare a Pietrasanta dal 1977 in poi, la Oki assembla vetri per ottenere sculture avvitate su se stesse, edifica cattedrali e invade gli ambienti con installazioni serpentine anche di molti metri.

Ogni sua opera crea una nuova fruizione dell’atmosfera, della luce e dello spazio. Ogni opera si carica di una visione vibratile unica, alla cui base c’è costantemente una ratio geometrica assommativa di elementi iterati che creano un insieme compatto, pertanto opposta a quella di Eusebi, che distingue sempre gli elementi. La “cattedrale” qui proposta è un vero gioiello plastico che, nonostante le sue insite trasparenze, giunge a una tattile consistenza oggettiva che assorbe lo spazio, restituendone una immagine come fatta di luce. Comunque la sua scultura, non solo per tali proprietà, s’impone nel panorama odierno come unica e sotto ogni aspetto sorprendente.

Giorgio Di Genova  

ARTISTI IN MOSTRA

RENZO EUSEBI 

GIOVANNI LETO

ANGELO LIBERATI

IZUMI ŌKI

RENATA RAMPAZZI

 

GIOVANNI LETO

Nasce a Monreale (Palermo) nel 1946. Studia Decorazione pittorica all’Istituto Statale d’Arte di Palermo e Pittura all’Accademia di Belle Arti della stessa città. Attualmente vive a Bagheria. Dopo gli anni di formazione, tra figurativo e arte informale, e dopo una serie di esperienze collagistiche risalenti agli anni ’70, l’artista dà avvio, sin dai primi anni ’80, ad una pittura volta ad acquistare sempre più corpo, spessore plastico, mediante l’uso, insieme al colore, di materiali extra pittorici e più in particolare di fogli di giornali attorcigliati manualmente e incollati dapprima sulla superficie della tela, a formare bassorilievi raffiguranti Orizzonti o spaccati di una “Geologia dell’altrove”. Poi, dagli anni ’90, sono destinati a costruzioni cartacee tridimensionali a tutto tondo che vedono la pittura sganciarsi dalla superficie e conquistare una piena e del tutto nuova fisicità e spazialità.

Studio – via M. T. Cicerone 18, 90011 Bagheria (Palermo) tel 091 903273

www.archiviogiovannileto.com – giovannileto@hotmail.it

 

Giovanni Leto Corpus temporis, 2018- 19, 13 elementi in carta di giornale e pigmenti, sospesi nello spazio, misure variabili
Giovanni Leto Corpus temporis, 2018- 19, (dettaglio)
Giovanni Leto Origine, 2019 Carta e pigmenti, cm. 44x44x11

 

[…] In Italia, soprattutto dall’immediato dopoguerra, s’è ormai consolidata una tradizione pittorica au delà de la peinture, che per lo più affonda le radici nell’humus dissodato, oltreché dalle avanguardie artistiche, dalle muffe, dai sacchi, dalle plastiche, dai legni e dai ferri di Burri e in qualche caso dai dècollages di manifesti attuati da Rotella quasi in parallelo ai manifesti dèchirès del francese Hains. L’opera di Giovanni Leto s’inserisce a pieno diritto in questa tradizione a partire dal 1982. – Giorgio. Di Genova

(Giovanni Leto / Geologia dell’altrove, Catalogo edizione Mazzotta, 1988 Milano)

Intervista di Sara Durantini a Giovanni Leto

Intervista a Giovanni Leto: dalla narrazione collettiva alla pittura materica

Sara Durantini
Un “oggetto trovato” degli scarichi, macerie della civiltà, che prendono una forma indistinta, sembrano ritornare quasi alla preistoria, assumere la faccia delle terre di nessuno, della assenza dell’uomo stampata negli orizzonti con tante schegge di sua passata e consumata presenza.
Marcello Venturoli (a cura di), Giovanni Leto / Le terre di nessuno,
ed. Associazione Culturale Hobelix, Messina, 1985

La “FAM Gallery” prende «Forma»

 

 

“FAM Gallery” prende «Forma» 

Dal 23 aprile al 31 luglio 2016 è allestita alla FAM Gallery di Agrigento, la mostra Progetto «Forma»: un approfondimento sull’arte italiana dal secondo dopoguerra che, concentrandosi sul medium pittorico, indaga il succedersi dei vari stili e linguaggi fino al prevalere dell’Astrazione e alle successive sperimentazioni.
Mantenendo viva l’attenzione su artisti storicizzati di origini siciliane, l’esposizione prevede un frequente turn over delle opere in mostra.
Tra gli artisti:
Pirandello, Migneco, Accardi, Consagra, Sanfilippo, Schiavocampo, Panzeca, Isgrò, Leto. Maugeri, Pinelli, Rizzo, Bruno, Moncada, Zanghi, Simeti, Vedova.

Un ciclo d’incontri con collezionisti e storici dell’arte animerà lo spazio.

FORMA, 23/4 – 31/7 2016.  Orari: da martedì a domenica 17.30 – 20.30; sabato e domenica anche la mattina 11 – 13 , lunedì chiuso. FAM GALLERY, via Atenea 91 Agrigento, Tel. 0922 27532, www.famgallery.it,  info@famgallery.it

 


“I migliori cento artisti italiani degli ultimi quarant’anni” – Flash Art n. 215 aprile 1999,

 

La rivista Flash Art n. 215 aprile 1999, pubblica la classifica de

“I migliori cento artisti italiani degli ultimi quarant’anni”, classifica che vede Giovanni Leto  in compagnia di artisti  di rilievo internazionale, tra cui: Piero Manzoni, Gino de Dominicis, Pino Pascali, Giulio Paolini, Alighiero Boetti, Luigi Ontani, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto. 

Giovanni Leto nella Collezione del Museo “Guttuso” con due nuove opere

NEW

 

E’ di questi giorni la notizia che il Museo Guttuso, ha acquisito,
nel percorso espositivo permanente, due opere dell’artista Giovanni Leto:
Essenza del 2002 e Libro d’artista del 1994.
Le due opere faranno compagnia a Orizzonte delta,
presente nella Collezione del Museo di Bagheria, dal 1986.

 

   
Essenza, 2002          Libro d’artista, 1994.                                               Orizzonte delta, 1985