Franco Lo Piparo

IL TEMPO E L’ETERNITA’ IN LETO

Franco Lo Piparo

 

 

Tutti gli animali (animali nel senso di esseri animati) si fanno immagini mentali del mondo circostante. Senza una mappatura mentale del mondo come farebbe un uccello a migrare da un continente all’altro o a trovare il luogo più adatto dove costruire il nido e dove cercare i rametti per costruirlo? O come farebbe un cane a orentarsi nel mondo degli odori senza una loro immagine mentale? O un’ape come potrebbe senza un’immagine mentale del mondo esplorare anche per chilometri il territorio al fine di individuare i fiori da dove estrarre la materia prima di quello che sarà il miele? E come farebbe a tornare all’alveare se non si fosse fatto una mappatura mentale dei territori che esplora?

Le immagini mentali non appartengono solo all’uomo. L’uomo è però l’unico animale che costruisce immagini esteriori del mondo. È l’unico animale che vive e esplora il mondo rappresentandoselo con immagini esterne. Immagini che, non risiedendo solo nella mente, non appartengono solo a chi le ha prodotte ma sono in linea di principio accessibili a tutti gli umani. Sono immagini pubbliche. I paleontologi quando trovano tracce dei primi uomini scoprono spesso anche graffiti sulle pareti di qualche grotta vicina. Là dove c’è un animale umano ci sono anche immagini pubbliche del mondo. C’è quella che noi chiamiamo arte e gli antichi Greci techne.

Costruire immagini esteriori e pubbliche del mondo: questa è la specificità dell’animalità umana. È una specificità strettamente connessa con la particolare morfologia del corpo umano: la costruzione di immagini esteriori richiede l’intervento delle mani e l’uomo è l’unico animale ad avere le mani. L’uomo nasce quando l’animale quadrupede, assumendo la posizione eretta, trasforma le zampe anteriori in mani.

La capacità di costruire immagini pubbliche è una specificità che porta anche lontano. Si pensi alle religioni: possiamo sganciarle da una qualche rappresentazione esteriore del mondo divino, ossia di un mondo che non si vede e che però si presume che esista?

La presenza delle mani e le rappresentazioni pubbliche dell’invisibile sono strettamente connesse.

Ancora una terza caratteristica. Le immagini pubbliche del mondo hanno una loro materialità. Diversamente dalle immagini mentali. I graffiti preistorici sono scolpiti sulla parete di una grotta e hanno richiesto l’intervento manuale di altre materie, una pietra aguzza ad esempio. Le immagini pubbliche del mondo sono pezzi di mondo (parete della caverna, pietra aguzza con cui fare disegni nel nostro esempio) usati come immagini del mondo. Tra il mondo e ciò di cui l’immagine è immagine non c’è discontinuità materiale.

Abbiamo gli elementi minimi per entrare dentro la produzione artistica, ma anche tecnologica, di Giovanni Leto. Con quali pezzi di mondo Leto costruisce immagini pubbliche del mondo? Ecco la prima originalità: non usa colori, non usa marmo, non usa bronzi, non usa terracotta, usa fogli di giornali. Una sofisticheria. I giornali sono già immagini scritte del mondo. Le rapresentazioni artistiche di Leto sono costruite con la materialità di altri pezzi di mondo che sono essi stessi immagini del mondo.

Prendiamo le opere qui esposte e raccolte nel catalogo. Cominciamo col titolo: Ritratto d’ignoto. Si può rappresentare ciò che si ignora o che non è possibile vedere per questioni di principio? Sì. Tutta l’arte religiosa e sacra altro non è che la rappresentazione dell’invisibile. Si può dire di più, tutta l’arte figurativa è un mostrare ciò che non si vede. Anche l’arte cosidetta realistica. Per il semplice fatto che in un’immagine c’è sempre un’idea. Un’immagine, qualunque essa sia, ha in sé un discorso o, ancora meglio, una molteplicità di discorsi possibili. Capire un’immagine equivale a spiegarne il senso con parole. Un’immagine conterrà tanti sensi quanti sono i discorsi possibili che la spiegano.

Questo vale in special modo per le opere qui raccolte. L’oggetto rappresentato è altamente filosofico e (meta)fisico: la intelaiatura fondamentale dell’universo. Il tempo, la materia, la forma, l’energia, l’origine dell’universo. In poche parole, Dio nella versione della scienza contemporanea.

Dante quando, nel Canto XXXIII del Paradiso, deve mettere in parole la sua visione di Dio si trova ad affrontare il medesimo immane problema: dire l’indicibile. Si può dire l’indicibile? Dante lo dice raccontando la propria insufficienza espressiva, la propria impotenza a dire ciò che ha visto (Dio):

Ormai sarà più corta mia favella,

pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante

che bagni ancor la lingua a la mammella (106-108).

Oh quanto è corto il dire e come fioco

al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,

è tanto, che non basta a dicer ‘poco’ (121-123).

Con lo stesso problema ha fatto i conti Leto nel costruire immagini pubbliche del tempo. Cosa è il tempo? Vale ancora la risposta di Sant’Agostino: «Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so più» (Confessioni, XI, 14). Che idea di tempo è rappresentata nelle immagini di Leto? Vi dico quello che le immagini di Leto mi hanno suggerito.

Una sezione della mostra è dedicata al Corpus temporis. In realtà tutta le opere sono una rappresentazione della temporalità. Vediamo.

Cominciamo col dire che il tempo dentro cui viviamo è successione di un prima e un dopo e, in quanto tale, è il contrario dell’eternità. Anche questo lo spiegava molto bene Sant’Agostino nelle Confessioni: «Nell’eterno non c’è successione, ma tutto è presente [non autem praeterire quicquam in aeterno, sed totum esse praesens], mentre il tempo non può mai essere tutto presente [nullum vero tempus totum esse praesens]» (XI, 11).

L’eternità non è un tempo che non finisce mai. È un non-tempo. Il non-tempo dell’eternità possiamo rappresentarcelo come un Presente senza passato e senza futuro. Il tempo è invece cambiamento, processo ritmato sul rapporto prima/dopo. Il corpus temporis diversamente dall’eternità è fatto di fratture e discontinuità.

È l’idea di tempo che le immagini di Leto ci tramettono. Vedete la sezione dedicata al tempo. Massi di carta lavorata di giornali non ben connessi che fluttuono nel vuoto. All’inizio c’è il caos. Col caos ha inizio la temporalità e la vitalità. Prima del caos c’è una Presenza omogenea senza fratture che possiamo immaginare solo negativamente: il non-tempo.

Segue una immagine che io considero tra le meglio riuscite. L’immagine del luogo fisico e metafisico da cui sorge nuova temporalità umana: la fenditura dell’organo femminile. La fenditura è simbolo della frattura vitale e, nella rappresentazione di Leto, portarice di movimento.

Le sculture cartacee successive sono continuazione e, in qualche modo, produzione dell’attività generatrice della fenditura femminile. Sono forme diverse di movimento: Onda, Onda nera, Scongelamenti, Ombelico. Per finire con l’equivalente astrofisico della fenditura femminile: un buco nero che risucchia tutto ciò che gli si avvicina. È un risucchiamento da cui hanno origine – ci spiegano gli astrofisici – altri universi. Esattamente come dalla fenditura femminile. Leto gli dà il titolo adeguato: non banalmente Buco nero ma Origine.

Platone ha dato una delle più belle, ma anche enigmatiche, definizioni del tempo. «Il tempo è l’immagine mobile dell’eternità» (Timeo, 37d). Per apprezzarla mettetela accanto alla definizione che Plotino ha dato dell’eternità che abbiamo chiamato non-tempo:,«[L’eternità] è perfezione priva di parti, simile a un punto in cui si riuniscono tutte <le linee> senza mai uscirne fuori; essa persiste in se stessa nella sua identità, senza subire alcuna modificazione essendo sempre nel presente, sicché di essa nulla è passato o sarà ma è sempre ciò che è ed è sempre tale» (Enneadi, III, vii, 3).

Vedete adesso una delle immagini finali della collezione di Leto: Cosmos. È una sfera compatta. La sfera, nella filosofia greca, è il simbolo della perfezione e dell’eternità. Guardiamola attentamente. Ha diverse fenditure e diversi buchi. A me sembra di scorgervi l’immagine mobile dell’eternità

Bibl.: Franco Lo Piparo, Il Tempo e L’Eternità in Leto, catalogo  Ritratto D’Ignoto, ed. Ezio Pagano, 2019 Bagheria (PA)